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La Natura

   

Valori storici

La comunità locale e gli operatori turistici di Civitella Alfedena sono stati sempre molto legati al loro territorio, hanno sempre svolto un ruolo importate per la salvaguardia del patrimonio naturale del Parco, traendo una serie di opportunità concrete per promuovere un modello di sviluppo locale durevole. Riuscendo a valorizzare le risorse naturali del suo territorio, il piccolo villaggio è diventato l’esempio indicativo di una azione comune tra Parco e comunità locale. Conservazione e sviluppo hanno avuto un ambito riconoscimento con l’Airone d’Oro 1988, assegnato “ alla popolazione tutta per essere stata capace di coniugare, nei fatti, difesa della natura e sviluppo socio economico”. Le azioni legate alla valorizzazione e fruizione del territorio, negli anni hanno messo in correlazione, evidenziando e rafforzando, anche gli aspetti che legano tradizione e cultura locale, il territorio e la sua storia. Procedendo nella direzione di arricchire il processo di valorizzazione territoriale che caratterizza questo comune, rendendolo per alcuni aspetti, “unico”, si punta costantemente, pur essendo piccoli e con grandi difficoltà, al miglioramento del paese e del luogo, attraverso i servizi al cittadino e al turista, che può anche partecipare alla vita attiva del borgo.  Non solo quindi la pura e semplice ospitalità, ma il coinvolgimento diretto anche nella realizzazione di eventi, spettacoli feste, con una conoscenza vera delle tradizioni, cultura e natura del posto.

Un paese immerso nella natura

Il paese di Civitella Alfedena è situato ai piedi di imponenti gruppi montagnosi (Monti Meta, Greco, Godi e Marsicano), del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise (Pnalm), in un declivio prospiciente il Lago di Barrea. Nel suo territorio montuoso, ricoperto da rigogliose foreste tra le più suggestive degli Appennini, è situata la più grande Riserva Naturale Integrale d’Italia “Camosciara - Feudo Intramonti”, rifugio di una grande varietà di flora e fauna un tempo presenti su buona parte delle montagne e vallate italiane, costituisce la zona più importante del Pnalm dal punto di vista ecologico, naturalistico e paesaggistico. La magia dei boschi, vivacemente colorati d’autunno o ammantati di neve, il luccicare del sole dietro una cresta, il fascino di un safari fotografico nel regno del camoscio o sulle tracce dell’orso. E poi il silenzio, il grande silenzio della montagna, rotto improvvisamente dall’ululato di un branco di lupi. Sono alcuni flash di emozioni vissute durante una qualsiasi escursione che parte dal paese. Addentrarsi a piedi con la classica escursione o il trekking, con il cicloturismo o in mountain bike, con le ciaspole o gli sci ai piedi, con il cavallo o il mulo, con la canoa o il kayak, alla scoperta di boschi e vallate o di una insolita visuale dell’acqua, sono certamente il modo più ecologico e pulito per conoscere da vicino il territorio in tutti i suoi aspetti. Civitella offre ampie possibilità di escursione e svago in un ambiente salubre e distensivo e sicuramente uno dei punti più importanti di partenza per i sentieri del Parco.

   

La flora

Il territorio di Civitella Alfedena e costituito da un’insieme di montagne che alternano vette tondeggianti, tipiche dell’Appennino, a pendii alpestri, la cui altitudine varia dai 900 ai 2000 m s.l.m. Un paesaggio diversificato e con una vegetazione molto ricca, che si differenzia a seconda della quota e del substrato geologico. Sui terreni argillosi di fondovalle tra gli 800 e 1200 m di quota intorno al Lago di Barrea e Camosciara, sono presenti il cerro, ma anche l’agrifoglio e il maggiociondolo che in primavera si riveste di magnifiche fioriture riunite in grappoli gialli. Lungo i  corsi d’acqua dei torrenti che si riversano nel lago e fiume Sangro c’è  il nocciolo, il salice bianco, il salicone, il frassino, il sambuco nigra, tra le essenze vegetali minori, il farfaraccio con le sue grandi foglie. Negli angoli più nascosti, dei numerosi ruscelli e cascatelle della Camosciara, che sono dovuti a affioramenti di antiche dolomie poco permeabili dall’acqua, ci sono rarissimi fiori ad alto interesse scientifico come la delicata aquilegia ottonis e la più conosciuta e famosa orchidea del Parco, la scarpetta di venere o pianella della madonna, relitto di epoche lontane, con i suoi colori giallo e nero è uno dei fiori più appariscenti e spettacolari dell’Appennino. Nella Riserva c’è anche il pregevole epipogio, una piccolissima orchidea senza foglie, priva di clorofilla perché si nutre di funghi in decomposizione e come molte della sua famiglia impiega lunghi anni per fiorire. Mentre negli ex coltivi, oltre al melo e pero selvatico, si trovano numerosi cespugli di ginepro e rosa canina, il robusto biancospino e il sorbo degli uccellatori dalle vistose bacche rosse che attraggono numerosi volatili come il merlo.  Oltre i 1000 m di quota prevale il faggio, dai cui rami degli alberi più grossi e secolari, pendono abbondanti ciuffi della barba di bosco, un lichene tipico di questo ambiente. I vecchi esemplari di certo offrono cibo e rifugio, soprattutto a insetti come la rarissima rosalia alpina, il bellissimo picchio dorsobianco e creature alate notturne come il pipistrello. Con il faggio nella foreste crescono altre  essenze, come il carpino nero, il sorbo montano, ma a rendere più pregevole e colorata la foresta ci sono i vari tipi di acero: l’acero italico, campestre, l’acero montano, l’acero minore, l’acero lobel che è un endenismo dell’Appennino meridionale. Mentre il sottobosco e caratterizzato da essenze vegetali minori fra queste il pungitopo, l’edera, il muschio, la felce e molte altre specie. Nella faggeta meno fitta, vistosi sono il giglio martagone e la bella donna con le sue belle e pericolose bacche bluastre . Boschetti impenetrabili di pino mugo, relitto delle ultime  glaciazioni, si trovano abbarbicati nelle balze rocciose della Camosciara. Il faggio è comunque l’albero più comune e raggiunge i piani sommatali fino a 1800 m, per poi lasciare il posto alle prateria di altitudine della Val di Rose, che in primavera e d’estate si riempie di colori variegati dovuti alle fioriture di primule anemoni, viole, ranuncoli, orchidee, ellebori, sassifraghe, genziane e genzianelle tra cui spicca l’azzurro intenso della genziana dinarica. Nei pendii più assolati e asciutti si incontra, il tasso barbasso,  il giglio rosso, l’uva spina e il basso e strisciate ginepro nano. Nel territorio di Civitella vi sono anche vari endenismi del Parco, cioè piante  che vivono esclusivamente in questa zona. Uno di questi è il giaggiolo marsicano che si trova generalmente in alcune radure assolate della Camosciara e il suo colore viola accesso attira insetti e farfalle. Un’altra rarità esclusiva del Parco, è il pino nero varietà detta di Villetta Barrea, una specie che risale al terziario, localizzata in alcune zone della Camosciara e della Val fondillo.

   

Il fantastico mondo degli animali

L’area protetta del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise si trova al centro della imponente catena montuosa dell’Appennino che si snoda lungo tutta la penisola italiana, cuore del Parco è Civitella Alfedena con l’imponente anfiteatro naturale della Camosciara (molto simile, nell’aspetto e nella struttura, alle montagne dolomitiche), che racchiude nel proprio contesto la Riserva Integrale. La catena della Camosciara, insieme alla contigua Val di Rose e Valle Jannanghera, rappresentano i luoghi di “culto” della natura selvaggia, dove trovano rifugio di una grande varietà di animali che un tempo popolavano buona parte delle montagne e vallate italiane. Animali che in questo impervio territorio vivono collegati tra loro in una stretta rete di rapporti fatti di gare, predazione, convivenza e accordi.
Queste montagne offrono quindi la possibilità di osservare tanti animali, vi sono i ruminanti che sono tutti erbivori e genericamente sono chiamati ungulati perché caratterizzati da uno zoccolo bipartito. Tra le specie dei grandi erbivori che troviamo, c’è quelle che appartengono alle famiglie dei cervidi, cervo e capriolo che sono stati reintrodotti negli anni settanta. Il cervo maestoso signore della foresta ha una sagoma inconfondibile che si può riconoscere anche a lunga distanza. il primo elemento che balza agli occhi in un incontro con i maschi adulti nel periodo estivo e il “trofeo” portato sulla fronte. Le corna ramificate dei cervi, come in tutti i ruminanti, hanno due scopi, il primo di mettersi in mostra e assumere un aspetto minaccioso in caso di eventuali lotte, l’altro e che sono delle vere e proprie armi in caso di veri combattimenti. Le femmine che vivono in branco non portano tale ornamento e in autunno durante il periodo degli amori sono attirate dai maschi che vivono isolati, attraverso il caratteristico “bramito” un grido alto e lamentoso, per poi dare al mondo i nuovi “bamby” in tarda primavera.  Il capriolo più elusivo e riservato difficilmente si lascia sorprendere e per segnale presenze estranee nella foresta come segnale di pericolo emette un verso molto simile al cane detto “abbaio”. Anche le femmine di questa specie non portano le corna e raggiungono un’altezza che non supera i 75 cm. inoltre hanno una grossa macchia bianca nella parte posteriore, molto evidente in inverno. Sulle creste rocciose troviamo il camoscio d’Abruzzo, un accorto acrobata, capace di correre e saltare con piede sicuro su creste dirupate e precipizi scoscesi. Questo ungulato è dotato come tutti i bovidi di corna perenni che sono prerogativa anche delle femmine, sebbene la loro dimensione sia ridotta rispetto ai maschi. Nei camosci le corna a differenza dei cervi non sono ramificate. Diverso da quello alpino per dimensioni e lunghezza delle corna il camoscio d’Abruzzo è considerato il più bello del mondo perché in inverno si orna di un appariscente mantello è stato recentemente reintrodotto anche nei Parchi Nazionali della Maiella e Gran Sasso. Le nascite si concentrano nei mesi maggio e giugno quanto in quota c’è la maggior disponibilità di cibo, mentre il periodo degli amori è quasi all’inizio dell’inverno.
Gli ungulati costituiscono la preda primaria per i carnivori di grossa ed in proporzioni diverse entrano nella dieta del lupo, orso e lince, predatori che sottraggono alla natura gli ungulati più deboli o malati.Tra gli animali la cui dieta e quasi esclusivamente composta di carne troviamo il lupo, a suo beneficio negli anni settanta sono stati reintrodotti cervi e caprioli che si sono aggiunti al camoscio d’Abruzzo. Il lupo ha un’intelligenza sviluppata e di solito vive e caccia in branchi regolati da una rigida gerarchia, per comunicare fa uso di vari atteggiamenti che siamo abituati a vedere nei cani domestici, segnali che delle volte servono a smorzare l’aggressività ma anche a marcare il territorio e segnalare la sua presenza. Grande camminatore è abituato a grandi spostamenti, anche giornalieri, pone la sua tana fra le radici degli alberi, le rocce e nel terreno, dove la lupa nutre i suoi piccoli con il latte materno. Spinto dalla fame può avvicinarsi a centri abitati, predando talvolta animali domestici.
L’animale più famoso, simbolo del Parco, che vive nelle foreste della zona, è l’Orso bruno morsicano, inconfondibile per la sua grossezza. Tutti gli orsi sono scientificamente definiti “quadrupedi plantigradi”, cioè che camminano sulla pianta dei quattro piedi. L'Orso ha una movenza lenta e dinoccolata spiegata dal fatto che spostano contemporaneamente due zampe nello stesso lato e anche per questa sua andatura può apparire come molto pacioso. Ha un comportamento riservato e gli orsacchiotti vengono al mondo nella tana invernale di mamma orsa, dove essa si ritira durante l’inverno. La tana quasi sempre costituita da una grotta è un rifugio per dormire durante la cattiva stagione e si trova in luoghi inaccessibili e il più lontano possibile dai rumori. L’orso usa frequentare anche le praterie di quota e mangia molto quello che la natura offre durante le varie stagioni, frutta, bacche, erba, insetti, radici, animali morti e qualche volta anche di pecore rubate agli ovili dei pastori. Usano ritrovarsi in gruppo solo vicino a una grande quantità di cibo o per ragioni di parentela, i piccoli restano con la madre per un lungo periodo. Il terzo grande carnivoro è la lince, scomparsa in Italia peninsulare, si sta pensando di rintrodurla in diversi parchi nazionali. Questo felino - somigli a un grosso gatto con lunghi baffi, due “pennelli” sugli orecchi e coda corta -, ha abitudini estremamente solitarie e notturne e preferisce nascondersi negli anfratti più impenetrabili del bosco. E’ dotato di una vista e udito molto sviluppati e marca il territorio con graffi sulla corteccia degli alberi. A questi animali si aggiungono l’astuta volpe, che risulta essere il carnivoro più diffuso in Europa, e la schiera dei mustelidi, mammiferi carnivori di taglia piccola con dentatura robusta e bella pelliccia. Tutti sembrano sagomati appositamente con un corpo sottile e allungato, per introdursi nelle tane dei roditori di cui abbondantemente si cibano. Spesso invisibili per le loro abitudini ritirate sono i micromammiferi, questi piccoli esseri risultano fondamentali per l’economia della natura montana, essi infatti rappresentano uno dei principali alimenti per molti mammiferi e uccelli. Si tratta di un gruppo molto eterogeneo, in cui si mischiano rappresentanti degli ordini degli insettivori come vari topo ragni e dei roditori come quel folletto del bosco che è il ghiro (famiglia gliridi) e lo scoiattolo meridionale considerato il più bello e più grande di tutti, che si differenzia dalle forme nordiche per il colorito scuro.
Se quasi tutti questi animali preferiscono muoversi di notte o di nascosto, gli uccelli appaiono più indifferenti e sono più facilmente osservabili in natura. Gli uccelli sono animali coperti di piume. Le piume hanno una parte importante nella vita di gruppo, ma servono soprattutto per volare. Il ruolo dei predatori nel mondo degli uccelli e svolto per la maggior parte dai rapaci diurni come l’aquila reale e dai rapaci notturni come il gufo reale.  Accanto a questi grandi uccelli, vi sono moltissime altre specie ed un occhio attento può riuscire a vedere sull’argine  di un torrente, piccoli uccellini come il pettirosso, facilmente riconoscibile grazie alla colorazione del piumaggio del petto e della gola che è rosso-arancio.
Nelle prime ore umide del mattino o dopo una pioggia, ai bordi dei torrenti e facile incontrare anfibi con coda come la salamandra o il tritone, oppure nelle piccole pozze d’acqua anfibi senza coda come la rana, il rospo e l’ululone dal ventre giallo, che se disturbato attraverso le ghiandole cutanee produce la “bufalina”, un veleno irritante per le mucose, che lo rende meno allettante ai nemici ed assume un atteggiamento intimidatorio molto insolito, con il ventre a terra, inarca il dorso mostrando cosi i suoi vivaci colori ventrali giallo-bluastro, colori di avvertimento.
Non mancano gli insetti, che sono degli invertebrati, cioè sono privi di spina dorsale. Nel bosco si può vedere il cerambice, un coleottero divoratore del legno, mentre nei prati si espongono liberamente sui fiori numerose farfalle, vistosamente colorate, i vivaci colori ammoniscono gli uccelli e gli altri predatori di lasciarle stare.

   

  La Mappa dei sentieri...
    




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